BRESCIA
MAFAI
Museo di Santa Giulia
Via Musei 81/b

Tel. 030 2977834

Prenotazioni on line


Periodo:
Dal 14/1/2005
al 20/3/2005

Orario:
9 - 19 lun-gio
ven-sab-dom 9-21

Biglietto:
interi Euro 15,00
cumulativo 5 mostre




Tra i protagonisti dell’arte italiana tra le due guerre, Mario Mafai (Roma 1902 - 1965) è sicuramente una delle figure più complesse e affascinanti.
La scelta di oltre trenta opere che questa mostra presenta, permetterà al visitatore di ripercorrere, attraverso quadri di valore assoluto, l’intero arco della sua esperienza artistica.

Noto per essere stato insieme a Scipione e Mazzacurati l’animatore di quella che Longhi, recensendo la I Sindacale del Lazio, definì la “scuola di via Cavour”, Mafai andrà letto non solo nel segno di questo gruppo che sostanzialmente identifica un sodalizio umano, più che una vera e propria corrente, ma soprattutto per aver tradotto con linguaggio nuovo ansie e turbamenti che sono stati sì di tutta un’epoca, tra le più tragiche della nostra storia, ma che per lui hanno avuto prima di tutto valenza esistenziale.

Senza dunque concedersi completamente al realismo sociale, la sua pittura, che per molto tempo fu venata di un espressionismo discreto, liricamente doloroso, seppe tradurre, per tragiche Fantasie, i drammi del tempo. La serie delle Demolizioni è la figurazione dell’annullarsi della struttura, intesa come categoria, come possibilità di un ordine governato, prima e più ancora che come edificio in senso stretto. Così i Fiori, soprattutto quelli dei primi anni trenta, non poggiano più su una base certa e le nature morte cessano di avere uno spazio entro cui vivere.
La luce delle vedute romane, a toglierci chiarezza di lettura, è molto spesso livida e buia e tutto vive in un silenzio rabbrividito. Ciò nonostante Mafai riesce a salvare, in tutto questo, l’essenza stessa della pittura, che è la magia del colore, interpretato prima con accordi sulfurei e vieppiù in una gamma schiarita e ristretta.

La realtà che Mafai per lungo tempo ha suggerito attraverso le sue rovine, simbolo di una decomposizione dalla forte ascendenza esistenziale, negli ultimi anni della sua vita, si risolve in quella che la critica ha definito la fase astratta della sua opera, ma che altro non è se non un processo che i titoli delle sue ultime opere ben sintetizzano: alla fine bisogna Cancellare la memoria (1959) e dipingere solo Ciò che rimane (1960), ovvero la Solitudine (1961).