Piani di volo Torino e la sua storia
a cura di v.p.
 
L'Ottocento
parte 1
parte 2
parte 3
parte 4
parte 5
parte 6
parte 7
 
Torino e la sua storia
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L'Ottocento - parte 1

Dopo il trattato di Aquisgrana (1748) il Piemonte gode di un lungo periodo di pace. Negli ultimi anni del regno di Carlo Emanuele II (1730-1773) si perfeziona la regolamentazione promossa da Vittorio Amedeo I. Sotto Vittorio Amedeo II (1773-1796) si instaura un clima di assolutismo e l’isolamento del Regno di Sardegna rende impossibile un inserimento nel gioco delle alleanze europee.

Secondo il modello francese, la nobiltà si concentra nella capitale e cede in affitto i possedimenti terrieri; ma visto che il profitto non viene reinvestito nelle campagne, si verifica un rilevante inurbamento.

Nel 1792 il Regno di Sardegna entra in guerra contro la Francia rivoluzionaria al fianco delle potenze europee e nel 1798, Torino, abbandonata dalla famiglia reale, è occupata dai Francesi del Governo repubblicano; nel 1802 il Piemonte viene annesso alla Francia e Torino diventa il capoluogo del dipartimento del Po. Il primo intervento francese nel tessuto urbano di Torino è l’abbattimento della mura, inutili secondo il moderno criterio della guerra di movimento, deciso da un decreto di Napoleone (28 giugno 1800). La Cittadella rimane come sede della guarnigione, invece le porte cadono insieme ai bastioni tranne quelli trasformati nel 1872 nel giardino dei Ripari (ora Cavour), nei giardini Reali ed il Bastion Verde (demolito nel 1881 con la costruzione di via XX Settembre). Inoltre, vengono abbattuti la Torre Civica (in via Dora Grossa) e la galleria che collega l’ala di Palazzo Reale, comprendente la galleria Beaumont, a Palazzo Madama.

Nel 1807 un incendio distrugge il Padiglione Reale, che separava la piazzetta Reale da piazza Castello, sostituita dalla cancellata del Pelagio sotto Carlo Alberto. I progetti per l’abbattimento di Palazzo Madama e della Basilica di Superga non vengono attuati e nel 1807 viene sostituito il vecchio ponte in legno, danneggiato nel 1706, da un ponte di pietra, chiamato Vittorio Emanuele I. In questo modo Torino non ha più vincoli per l’espansione urbana e gli ampliamenti, dovuti alla crescita demografica, seguono il reticolo settecentesco, integrando il Po e la collina. Durante il periodo della Restaurazione, l’influenza francese si verifica soprattutto per il gusto neoclassico. Mentre il perimetro esterno è percorso da una cintura di viali alberati, tra il 1825 e 1830, viene attuato dall’architetto Giuseppe Frizzi il progetto di piazza Vittorio Emanuele I (ora Vittorio Veneto), con uno spazio di forma classica non dissonante rispetto alle opere Barocche, ma moderno per l’apertura sulla collina, fu completata sullo sfondo dalla Gran Madre di Dio, sorta per opera di Ferdinando Bonsignore a partire dal 1818. Essa si eleva su un’alta gradinata, correggendo la prospettiva discendente di via Po e celebra, con tocco neoclassico, il ritorno in città di Vittorio Emanuele I e attesta come anche Torino sia inserita nella diffusione di questo stile. Le premesse nascono attorno alla metà del ‘700 dall’interesse per le ricerche archeologiche alla scoperta di un ideale di classicità; ma in pochi anni diviene il gusto ufficiale, teso a ricostruire filologicamente l’antico.

Nel 1826 viene decisa l’allungamento di via Italia (ora via Milano) e nasce così il primo tratto dell’attuale piazza della Repubblica. La definitiva configurazione ottagonale è dovuta al progetto dell’architetto Carlo Bernardo Mosca, realizzatore dell’omonimo ponte sulla Dora, realizzato nel 1823, che apre l’ingresso al quartiere Balano. Nel 1830 progetta il collegamento fra il ponte e la piazza Italia e proprio all’incrocio tra il nuovo corso Giulio Cesare e i viali San Massimo e Santa Barbara (ora corso Regina Margherita) si apre la piazza Emanuele Filiberto (ora della Repubblica), che ospitò, all’esterno ed all’interno, sotto strutture in muratura, un importante mercato alimentare e vestiario.

Nello stesso periodo vengono iniziati i lavori per la costruzione di piazza Carlo Felice, allo sbocco della via Nuova (ora via Roma).Il progetto del 1823 degli architetti Lorenzo Lombardi e Giuseppe Frizzi riguarda i primi due isolati, mentre verso la metà del secolo nascono, su disegno di Carlo Promis, i complessi comprendenti le due piazze laterali Paleocapa e Lagrange che concludono la piazza. I moduli architettonici sono una affermazione del neoclassicismo a Torino. Tra la piazze Vittorio Emanuele I e Carlo Felice, avviata la lottizzazione degli isolati prospiciente il Viale del Re, ora corso Vittorio Emanuele II (1822-29), il Borgo Nuovo assume la sua fisionomia definitiva verso la fine dell’800.Vengono formati i giardini dei Ripari (ora Cavour) e le piazze Robillant (ora Balbo) e Maria Teresa accanto ad essi. La piazza d’Armi, riservata alle esercitazioni militari, si sposta, dopo il 1947, nella zona fra corso Matteotti, corso Stati Uniti e corso Vinzaglio, con la forma regolare secondo il tradizionale schema ottagonale torinese, ripreso, nel 1846, per l’ampliamento del Borgo San Salvario, fra corso Vittorio e corso Marconi, per il quartiere della Cittadella e di via Cernaia (1857) e per quello della Crocetta. In fondo al Viale del Re viene aperto nel 1840, un ponte in ferro, sostituito nel 1903 dal monumentale ponte Umberto I secondo il progetto del francese Paul Lahaitre.

In seguito le proposte della risistemazione della città ad opera di Antonelli e Canino, vengono bocciate in quanto prevedevano l’abbattimento di spettacolari opere architettoniche per la costruzione di opere neoclassiche.

Nel 1832 Carlo Alberto invita il bolognese Pelagi Palagi per il rinnovamento del palazzo Reale. Dal 1836 al 1858 egli lavora ai progetti per le sale da Ballo, del Consiglio e del Trono. Palagi rivolge il suo interesse sia ai reperti classici, sia alle testimonianze dell’epoca medioevale, nel quadro di un nuovo stile: il neogotico.

Rappresentativo di questo movimento è il monumento al Conte Verde, inaugurato nel 1853 in piazza Palazzo di Città. Essa rappresenta un episodio compiuto nel 1363 da Amedeo VI (Conte Verde), durante la guerra in Oriente e ritraeva il principe vittorioso sopra il Saraceno.

Nel settore edilizio tramonta la programmazione urbanistica rigidamente pianificata e nel 1853, a delimitare il perimetro della città, nasce la cinta daziaria che segue le direttrici dei maggiori assi urbani.

L’Italia, ormai prossima all’unità, richiede nuove reti di distribuzione sul territorio di materie prime e delle merci e Torino entra nella rete ferroviaria italiana a partire dal 1847.

Il terminare della rete nel tessuto urbano si attesta lungo il viale del Re con la stazione di Porta Nuova, che gli architetti Alessandro Mazzucchetti e Carlo Ceppi costruiscono a partire dal 1861. Terminata nel 1868, ha la possibilità di separare i servizi di arrivo da quelli di partenza, coprendo il vasto spazio con la tettoia metallica e di presentarsi con la facciata caratterizzata dall’imponente porticato e dalla grande vetrata centrale semicircolare, suddivisa verticalmente da esili membrature, opera architettonica fra le più belle d’Italia.

La disputa tra l’interesse degli ingegneri per le soluzioni tecniche e quello degli architetti per la ricerca stilistica, viene conciliata nell’architetto Alessandro Antonelli. A lui viene commissionata dalla comunità israelitica la costruzione del loro tempio, ma esso supera questo limite e diviene uno dei più significativi monumenti dell’800 in Italia; la Mole Antonelliana. Con la sua rivoluzionaria modernità costruttiva, che se con strutture murarie, giunge a soluzioni che si pensavano raggiungibili solo dall’architettura in ferro.

La costruzione di quest’edificio, iniziata nel 1863, si sviluppa in altezza, non potendo sfruttare grande spazio. Dalla pianta quadrata si innalza una cupola a vele sottilissime a cui si sovrappongono un tempietto dorico ed un’altissima guglia. La comunità israelitica, nel 1869, ormai prossima all’esaurimento dei fondi, interrompendo i lavori e nel 1875, riconoscendo la costruzione stabile ed in condizioni di essere ultimata, viene acquistata dal Municipio di Torino, destinandola ad accogliere il Museo del Risorgimento (oggi invece situato nel Palazzo Carignano). I lavori vengono ultimati nel 1888, anno della morte di Antonelli e nell’anno seguente viene innalzato alla sua sommità un genio alato, sostituito successivamente dalla stella.

In vista della forte immigrazione e della diffusa convinzione che la capitale sia trasferita, Torino identifica nell’edilizia un possibile polo di sviluppo. Il Comune offre facilitazioni a che costruisce e mette in vendita i terreni fabbricabili. I primi capitalisti stranieri ad intraprendere un operazione immobiliare fu una società per azioni francese che scelse la zona dell’attuale piazza Statuto, ormai libera da vincoli militari, che ha come funzione di avvicinarsi al Borgo San Donato. Gli edifici vengono costruiti a partire dal 1864 dall’architetto Giuseppe Bollati, autore anche dell’ala di palazzo Carignano che dà su piazza Carlo Alberto. Il complesso degli edifici di piazza Statuto costituisce l’ultimo intervento ottocentesco coerente col gusto barocco. In seguito, a causa di utilizzazioni, da parte della società francese, di materiali scadenti, il Comune decise di rilevare le proprietà, affidandole ad imprenditori torinesi.

I primi grandi insediamenti industriali si localizzano a nord della città fra il 1880 ed il 1890, rimanendo comunque all’interno delle barriere daziali.

In seguito a parziali piani di ampliamento, il Comune approva il proseguire oltre la cinta danziaria di corso Peschiera, corso Vittorio, corso Francia, via Cigna, corso Vercelli, corso Casale, via Genova.

La legge del 1886 per il risanamento dei centri storici avvia i lavori assicurando finanziamenti governativi per l’allargamento di via Botero, via Bellezia, via Bertola, via San Tommaso, via Porta Palatina, via San Francesco d’Assisi e l’apertura di via XX Settembre. Ma i maggiori problemi nascono dall’apertura di via Diagonale (ora via Pietro Micca) che collega piazza Castello a piazza Solferino per la quale verrà promosso un confronto di progetti che si protrae fino al 1898.

L’architetto Carlo Ceppi concepisce un’arteria simmetrica a via Po che dà origine ad isolati irregolari e che si conclude con una piazza tangente rispetto all’asse della via. Con via Diagonale si avvia l’abbandono del regolare allineamento uniforme di cui godeva la città.

La piazza cambia le sue funzioni di scambio commerciale a nodo di circolazione dei veicoli, mentre il monumento conferisce una dignità celebrativa allo spazio urbano. Nel 1838 viene innalzato in piazza San Carlo il monumento a Emanuele Filiberto di Carlo Marocchetti; dello stesso autore è il monumento a Carlo Alberto, nella omonima piazza, sorta nel 1861, mentre il monumento a Cavour, realizzato da Giovanni Duprè nel 1873, si eleva in piazza Carlina.

Gli esponenti neogotici si interessano soprattutto al problema della conoscenza e della tutela degli edifici romantico-gotico. Sia Riccardo Brayda sia Alfredo D’Andrade entrambi appassionati di archeologia, si dedicano al restauro.

Il primo fece ripristinare il gruppo di case in piazza Quattro Marzo, la chiesa di San Domini, la Porta Palatina e il maschio della Cittadella. D’Andrade invece ristrutturò il Borgo Medioevale, edificato nel Parco del Valentino; si tratta di ricostruzione di case gotiche rilevate da Bussoleno, Pinerolo, Avigliana, Susa, Vezzuolo e Ozegna, operate con l’intervento didattico di illustrare un borgo e un castello piemontese del ‘400, opera di grande interesse anche turistico.

Il Re Carlo Felice istituisce nel 1829 un ciclo di Esposizioni triennali per promuovere lo sviluppo della produzione industriale ed agricola. Questa tradizione si apre con la volontà di Torino di affermarsi come centro industriale e commerciale a livello europeo; quindi diventa convinzione diffusa che l’arte si debba legare a propositi di progresso civile ed industriale.

Le istanze modernistiche degli architetti piemontesi si concretizzano nell’eclettismo. Celebrato nell’esposizione del 1896, l’eclettismo è un movimento caratterizzato da un gusto aperto e discontinuo, che usufruisce di citazione degli stili precedenti. La borghesia industriale è la maggiore committenza, e per loro si progettano palazzi residenziali soprattutto nelle zone di corso Vittorio Emanuele e di via Pietro Micca. Già nel 1892 il Ceppi utilizza per un edificio di via Pietro Micca il cemento armato, che gli permette ardite soluzioni architettoniche.

La galleria tra piazza Castello e piazza Carlo Alberto, costruita da Pietro Carrera nel 1873, è un tipico esempio eclettico costituita di ferro, vetro, ed elementi in muratura.

Anche l’edilizia religiosa è interessata dall’eclettismo, come per il tempio israelitico (1880-1884), caratterizzato da un’accurata eleganza dei particolari e da quattro torrioni sormontati da cupole sferiche. Le complesse vetrate, le colonnine tortili e l’elaborata decorazione della facciata, contribuiscono a ricreare un’atmosfera esotica, simboleggiante la tolleranza religiosa della città.

Un altro esempio della libertà di culto a Torino è rappresentato dal tempio valdese, che si affaccia su corso Vittorio Emanuele all’angolo con via Principe Tommaso, iniziato nel 1851.

Negli ultimi anni dell’800, mentre tramonta il gusto neoclassico e si rafforza il neogotico e l’eclettismo con Antonelli e Ceppi, nasce il Liberty torinese. E’ fondamentalmente uno stile legato al desiderio della borghesia di svecchiare il volto della città e l’interno delle proprie abitazioni.

Caratteristiche della produzione di questi anni sono il ricorso alle tematiche naturalistiche (fiori, animali) e l’impiego di motivi dell’arte giapponese; il ritmo sinuoso della linea curva (spirale, voluta) ritorna a suggerire un senso di elasticità e leggerezza. Nuovi materiali, come il ferro, il vetro e il cemento armato, forniscono nuove possibilità espressive; inoltre il colore impreziosisce il materiale rendendolo nuovo ed inedito. Il gusto floreale, che raggiunge la sua massima diffusione nel tardo Ottocento, verrà rinnovato nel Novecento da un gusto più stilizzato e geometrico.

Il più importante elemento dell’Esposizione del 1902 è il palazzo centrale dell’Esposizione, disegnato da Raimondo D’Aronco, uno dei massimi architetti Liberty in Italia. D’Aronco, nel 1903, si occupa dei disegni per il ponte Umberto I, che sostituisce il ponte in ferro allo sbocco di corso Vittorio sul Po. Egli si servì della tradizionale decorazione in pietra e stucco per mascherare il cemento armato.

Pietro Fenoglio realizza nel 1902 la palazzina di via Prinicpi D’Acaja angolo corso Francia; in questo edificio si riesce ad ottenere un equilibrio fra il razionale rinnovamento degli ambienti interni e la decorazione floreale della facciata. Nello stesso anno fu anche autore della Villa Scott di Corso Giovanni Lanza, caratterizzata da elementi decorativi originali e fantasiosi. Dello stesso Fenoglio sono i progetti delle case popolari di via Marco Polo ed alcuni insediamenti industriali tra cui la facciata della fabbrica Ansaldi, incorporata nell’attuale Grandi Motori, ed il complesso delle officine e delle abitazioni operaie del Leumann.

Un’altra tipologia degli edifici industriali è rappresentata dalla facciata dei Garages Riuniti, oggi rimpiazzati dalle officine FIAT di corso Massino D’Azelio 15; la struttura ha l’aspetto di un fantasioso agglomerato Liberty, opera dell’architetto Frapolli.