GOLOSITA'
La Parma dei sapori
di Andrea Piovano
Le specialità


La spalla cotta
Il parmigiano reggiano
Il prosciutto di Parma

I luoghi verdiani
I luoghi del cigno
Villa Verdi

I Castelli sui colli parmensi

itinerario culturale
Parma: arte, musica e golosità

Pare che lo stesso Giuseppe Verdi amasse la buona tavola e che nella cucina della Villa di Sant’Agata, aromi e profumi, frutto di una tradizione enogastronomia secolare, fossero all’altezza della più alta vocazione culinaria parmense. Il maestro ci lascia la ricetta della spalla cotta di cui pare fosse ghiottissimo.

Oggi Parma celebra il successo della sua cucina che, da una dimensione regionale, è oggi divenuta celebre in tutto il mondo. Si può parlare di uno straordinario equilibrio tra esigenze di qualità e rispetto della tradizione, coniugate con le leggi della moderna industria agro-alimentare. Prodotti come il prosciutto di Parma, il salame di Felino o il culatello di Zibello vantano, all’interno dell’industria di trasformazione dei salumi, un primato sia di gusto sia di resa economica. Accanto alla pizza, il Parmigiano Reggiano si propone oggi come uno di quei sapori che identificano all’estero la cucina italiana. E a proposito di tratti distintivi della italianità, una delle marche più note della pasta, la Barilla, nacque in questi luoghi nel 1877, dal lavoro e dalle ambizioni di un semplice panettiere.

A tali prodotti si affiancano i preziosi frutti della terra: il tartufo nero di Fragno e i Funghi della Val Taro. Andare alla ricerca di essi significa addentrarsi nel cuore del parmense tra colline e castelli. L’occasione sarà così propizia per un bicchiere di dolce Malvasia o di Lambrusco

La spalla cotta e cucinata dal Maestro

In una lettera al Conte Arrivabene, datata 27 aprile 1872, lo stesso Verdi scrive la ricetta di uno dei suoi piatti preferiti:

"Io non diverrò feudatario della Rocca di San Secondo, ma posso benissimo mandarti una spalletta di quel santo. Anzi te l’ho già spedita stamattina per ferrovia, quantunque la stagione sia un po’ avanzata, spero la troverai buona. Devi però mangiarla subito prima che arrivi il caldo. Sai tu come va cucinata? Prima di metterla sul fuoco bisogna levarla di sale, cioè lasciarla due ore nell’acqua tiepida. Dopo si mette al fuoco dentro un recipiente che contenga molta acqua. Deve bollire a fuoco lento per sei ore, poi la lascerai raffreddare nel suo brodo. Fredda che sia, ossia 24 ore dopo, levarla dalla pentola, asciugarla e mangiarla…". In un qualunque ristorante, come nelle case, questo piatto viene servito fumante, ma de gustibus

Il parmigiano reggiano

Al di là di un gergo pubblicitario che specula e nel contempo svuota di significato parole come "tradizione" e espressioni del tipo "autentico sapore di una volta", il parmigiano Reggiano è davvero anzitutto Storia. Se la letteratura latina, alla quale erano cari convitti e occasioni mangerecce, ne celebra con Marziale il gusto prelibato, sarà il Decamerone di Boccaccio a descrivere una montagna pantagruelica di Parmigiano grattugiato, sulla quale ruzzolano maccheroni e ravioli in quantità, verso fiumi di Vernaccia. Insomma se il parmigiano ha ispirato tali scene di banchetti degni di un Trimalcione o del Paese dei Bengodi, chissà che non sia vera la storia del rispetto della "tradizione" e della ricerca dell’"autentico sapore di una volta"?

La prelibatezza del Parmigiano-Reggiano è stata recentemente riconosciuta dalla Comunità Europea e certificata dal marchio di Denominazione di Origine Protetta (DOP). Nel 1934 nasce, senza finalità di lucro un Consorzio che, oggi raggruppa circa 650 caseifici artigianali della zona tipica (province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova e Bologna) garantisce la conservazione di un metodo di lavorazione secolare e l’applicazione delle rigide norme che ne assicurano la genuinità.

Il prosciutto di Parma

Un viaggio nella memoria letteraria, alla scoperta dei primi riferimenti a questo illustre insaccato ci porta in epoca romana, quando la città di Parma apparteneva alla Gallia Cisalpina e, narra Varrone, l’attività dell’allevamento di porci era rinomata anche nei dintorni. Lo stesso Catone, nel De Agricoltura, ne descrive l’antica arte di produzione. Il confronto con l’oggi pare aver lasciato il gusto inalterato, a dispetto di un sensibile miglioramento delle condizioni igeniche. Se nel medioevo la cosiddetta Arte dei Lardaroli sovrintendeva alle fasi di lavorazione assicurando la qualità del prodotto finale, oggi Il Consorzio del Prosciutto di Parma si pone a tutela e rispetto di quelle condizioni ambientali e microclimatiche per le quali il prosciutto ottiene il marchio Europeo DOP (Denominazione di Origine Protetta). Quando il consumatore riconosce il famoso marchio della corona sulla cotenna delle cosce, allora può essere certo che quel prosciutto è di Parma, di quella regione lievemente collinare, dove l’aria, in una mescolanza di acri fragranze marine versigliesi, dolci profumi degli uliveti e delle vicine pinete della Val di Magra, asciuga naturalmente quei prosciutti avvolgendoli dell’essenze sprigionate dai castagni.