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Le Tremiti, piccoli gioielli incastonati nel mare

di Valeria Rosa

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Le Tremiti erano già abitate in epoca antichissima, lo testimoniano una necropoli neolitica scoperta a San Domino e i fori di palificazione di una capanna dell'Età del Ferro, le fosse sepolcrali attribuibili all'età classica ed ellenistica e i resti di due "domus romanae" rinvenuti a San Nicola. Furono di supporto sia ai greci per i commerci, che ai romani che le utilizzarono come luogo di deportazione.

Le prime fonti storiche documentano la fondazione della prima chiesa intorno al 300 sull'isola di San Nicola, mentre la costruzione del Monastero e della Chiesa di S. Maria è riconducibile ai monaci Benedettini Cassinesi (XI secolo).
E’ un periodo di splendore, favorito dai baratti con i mercanti veneziani e provenienti dall'Oriente, e dalle donazioni dei ricchi feudatari, che vogliono ingraziarsi i favori dell’Abbazia diventata un centro religioso importante.
I monaci rivendicano e ottengono l’autonomia dall’Abbazia di Montecassino, ma il potere acquisito segna una progressiva decadenza morale e materiale.

L’ordine viene ristabilito quando nel 1237 il Cardinale Raniero da Viterbo incarica il Vescovo di Termoli di sostituire l'ordine dei Benedettini con l'ordine dei Cistercensi del Monastero di Casanova presso Parma.
Le frequenti incursioni dei pirati slavi portano però nel 1334 alla completa scomparsa dell'ordine e alla distruzione di gran parte del complesso monastico. Questo episodio viene riportato dal Summonte nella "Storia del Regno di Napoli".

Come conseguenza del sanguinoso eccidio, l’isola rimane disabitata per diversi decenni, fin nel 1412 quando Papa Gregorio XII riesce a convincere alcuni Canonici Lateranensi a prendere il posto dei precedenti Cistercensi, che restaurano la fortezza, il monastero e la chiesa ridotta in pessime condizioni. Il complesso monastico nell'agosto del 1567 resiste all'attacco di 150 navi turche dell'armata di Solimano II il Magnifico.
Questi monaci, come quelli che li avevano preceduti, vivono un primo periodo di rapida ascesa dell'Abbazia a cui segue un periodo di lenta decadenza. Il declino delle fortune dei monaci tremitesi si accentua a tal punto che nel 1674, con l'assenso del pontefice Clemente X, i Padri superiori Lateranensi di Roma pensano di vendere ai Padri Celestini l'intero monastero per pagare i debiti.

Durante il periodo borbonico, Ferdinando IV sopprime l'Abbazia nel 1782, incamerando i beni nel Regio Demanio. Nel 1792 istituisce alle Tremiti una colonia penale. Decaduti i Borboni, succede sul trono del Regno di Napoli, Gioacchino Murat, cognato di Napoleone, il quale libera i condannati come premio per avere contribuito alla cacciata degli inglesi e dei russi nell'assedio del 1807.
Nel 1843-44 Ferdinando II deporta nell'arcipelago elementi dei bassifondi napoletani che, accasatisi, danno origine alla popolazione libera che conserva tuttora il dialetto napoletano.

Durante il periodo fascista, Mussolini vi stabilisce il confino di polizia, inviandovi confinati politici e delinquenti comuni. Come già era successo in passato al tempo dei Romani, quando vi fu relegata Giulia, figliastra di Tiberio e nipote di Augusto, adultera, e seppellita a San Nicola, dove tuttora vi si può vedere la tomba. Nel 771 d.C. stesso destino per Paolo Varnefrido diacono di Aquileia, consigliere e suocero di Carlo Magno e segretario di Desiderio, re dei Longobardi.
Questa triste storia di deportazioni termina finalmente con la caduta del regime nel 1943.

Dagli anni '60 ad oggi sono stati effettuati numerosi interventi alla valorizzazione e allo sviluppo turistico delle stesse e finalmente dopo secoli di tante calamità e sofferenze, le Isole Tremiti hanno cominciato a risentire il fascino della solitudine e della pace e innumerevoli sono i turisti che spinti dalle loro attrattive, vengono ad ammirare le bellezze e a trascorrere giorni di distensione e di serenità.

Infine un cenno alla leggenda del nome "Insulae Diomedeae": si raccconta che derivi dal mitico eroe greco Diomede che, approdato dopo tanto peregrinare "davanti alla Puglia", come scrive Plinio, e rimastovi fino alla morte, tracciò il suo confine con le pietre ciclopiche portate con sé dalla lontana Tracia. Si narra che i suoi fedeli compagni, mutati da Venere in uccelli marini con il corpo azzurro scuro e il petto bianco (Berte, famiglia Procellarie), chiamati Diomedee, siano i leali custodi del suo sepolcro.
In passato molti storici si impegnarono a tramandare in un modo o in un altro tale leggenda, a cominciare da Virgilio (che ricorda Diomede in un libro dell'Eneide), per non parlare di Strabone che descrive due isole di Diomede, una abitata e un'altra deserta.