Piani di volo Gita in barca a vela da Andora a Mentone

di Walter COTTAFAVA
 
sommario
La vela vola

La partenza da Andora

L'arrivo a San Remo

Guai in vista

Arriva il Maestrale

La paura cresce

L'attracco a Mentone
 
scopri Liguria
Spunti sulla Riviera di Ponente

A spasso nelle Cinque Terre

Genova ed il suo centro storico
 
video gallery
Diano Aretino

Diano Castello

Diano San Pietro

Diano Marina

Cervo Ligure

Villa Faraldi

Genova ed il suo porto

La paura cresce

Perdo la rotta accecato, non riesco a tenere le vele a segno durante le raffiche sempre più lunghe e mi rendo conto che la situazione è insostenibile con onde che entrano dentro la barca in continuazione. Riesco ancora a mettere il motore al massimo e viro di poppa tra una corta e ripida onda e l'altra lascando tutto per istintivamente scappare a tale buriana che voleva a tutti i costi metterci K.O. e coricarci sull' acqua. Prendo fiato per alcuni secondi e non tremo più per gli schizzi. Seguo il vento e mi trovo in poco tempo impegnato in una nuova diversa La costa da bordobattaglia per la sopravvivenza. Le onde, cresciute improvvisamente erano praticamente verticali con in cima una cresta schiumosa di un metro e ci venivano addosso di poppa. Un urto, come se ci avessero tamponato. Fatico a mantenere la barca in rotta ben conscio che se un onda ci avesse colpito su di un fianco ci avrebbe sicuramente rovesciati e le successive avrebbero completato l'opera affondandoci. Siamo in discesa puntiamo i piedi avanti quasi coricati sul fondo della barca per mantenerci in equilibrio. Stiamo facendo il surf con la randa lascata al massimo bloccata dalle sartie, il motore a tavoletta che qualche volta va in fuori giri perché non fa presa e la schiuma delle onde dietro che ci spinge a rotta di collo lungo il pendio.
Il cappottamento è possibile e quindi accelero ancora la barca riducendo la pendenza e viaggiando ad una velocità superiore a quella delle onde proprio come i surfisti. Non ero mai andato così veloce, mai con una barca a vela dislocante. La velocità mi spaventa ancora di più ma stringo i denti perché l'istinto mi dice che è la cosa migliore da fare. Orzo, poggio per tenere la barca in rotta, violentando quel povero timone che si rivela, per fortuna sempre pronto a rispondere, preciso e soprattutto sempre in presa per la sua lunghezza. La mia mano diviene un corpo unico con la barra del timone, mi dolgono le giunture tanto la stringo forte e convinto, in un momento di pausa, di lasciare le impronte delle mie dita sul duro teak stagionato.
Si, in un momento di pausa, perché quegli attimi trascorrono come ore e l'adrenalina a fiumi moltiplica i riflessi, le emozioni, nel tentativo di fermare il tempo, di fermare le onde con l'accelerazione dei sensi. In realtà, trattenuta la barca dal tamponamento ed iniziata la discesa, la schiuma lentamente esaurisce la sua energia sotto lo scafo concedendo attimi di apparente tranquillità e riduzione di velocità. Il tramontoTengo d'occhio il figlio, a cui ordino di mettersi il giubbotto salvagente, lo osservo pensando che forse quello è l'ultimo piacere che mi concede la vita Dario, in un primo tempo si diverte, non aveva mai provato l'ebbrezza del surf ad una velocità da gommone poi guarda alle mie spalle e capisco dagli occhi quello che vede, anche perché lo sguardo, da sorridente e vivace diviene impietrito ed il sorriso si tramuta in una smorfia di chi impaurito stringe i denti.
Tra un onda e l'altra metto in assetto la barca, risalgo un po' il vento allontanandomi dalla costa e mi preparo al successivo tamponamento. Il racconto si fa monotono in quanto ripetitivo con periodi di discese sfrenate sempre più lunghi ed onde sempre più alte e forti. Non devo sbagliare a prendere neanche un onda e mi concentro prevenendo il mare che arriva alle mie spalle senza poterlo neanche guardare.
Il tempo è una variabile adrenalina-dipendente per cui non so rendermi oggi conto quanto fossero lunghe le surfate, le pause ed il tempo che trascorreva tra un onda e l'altra.
S'insinua un tarlo ed un problema mi assilla, a questa andatura e con questa rotta finiamo dritti dritti negli scogli sotto il museo di scienze naturali di Montecarlo. Allora forzo la barca tra un onda e l'altra ed accresco ancora l'effetto surf, quasi abituato alle discese, come se fossimo su uno slittino in montagna. Schiviamo di misura Montecarlo quasi urtando contro le boe di rispetto nei pressi del porto. Non possiamo entrare nel porto perché è al traverso della rotta che facciamo, dovrei strambare, cosa impensabile con quel vento e, nel caso ci riuscisse la manovra strappando quasi certamente la vela, senza rompere l'albero, le onde in ogni caso ci travolgerebbero.
Non me la sento di moltiplicare i problemi ed i rischi tentando una manovra impossibile. Proseguiamo allargando ancora mentre la forza del maestrale, vedendo che ce l'avevamo fatta, sembra ridursi un po'. Non è così per il timoniere in quanto sottocosta le onde crescono ancora e ruotano leggermente disponendosi un po' più parallele alla costa. Seguono delle manovre sempre più rapide in quanto potenza delle onde e frequenza risultano aumentate ed inoltre è necessario quasi intraversare la barca tra un onda e l'altra se si vuole risalire un po' il mare per allontanarsi dalla costa.